Resilienza delle città e mobilità degli studenti: Come le città rispondono ai disastri naturali

Impatto dell'emergenza Covid e di altre crisi: alla ricerca della resilienza nella gestione

Resilienza delle città e mobilità degli studenti: Come le città rispondono ai disastri naturali

Filippo Marchesani, Francesca Masciarelli

Le catastrofi naturali rappresentano da sempre un fattore inaspettato nell’economia e nello sviluppo di un paese. Di conseguenza, ci sono diversi filoni di ricerca che analizzano gli effetti dei disastri naturali secondo varie dimensioni economiche. Catastrofi naturali come terremoti, tsunami e uragani hanno un impatto distruttivo sulla crescita economica (Cavallo, Galiani, Noy e Pantano, 2013), sullo sviluppo urbano (Wesener, 2015) e sul capitale sociale (Pelling, 2012). Catastrofi naturali che, di conseguenza, hanno un grande impatto sulla città e sulle regioni in termini di attrattiva del capitale umano (Baez, Fuente e Santos, 2010).

Gli studiosi hanno tentato di comprendere come affrontare le situazioni di emergenza dovute a questi eventi e quanto questi impattano sul territorio in termini di crescita economica e sviluppo regionale. Nella letteratura correlata, Khan (2005) e Kellenberg & Mobarak (2008) hanno studiato la relazione tra sviluppo economico e vulnerabilità ai disastri naturali, sostenendo che i cambiamenti comportamentali a livello micro, in risposta all’aumento del reddito, possono portare a una relazione non lineare tra redditi aggregati e danni da calamità. Yang (2011) ha studiato l’impatto degli uragani sui flussi finanziari internazionali andando ad esaminare quanto questo disastro naturale influenza i flussi di risorse verso i paesi colpiti. In termini di gestione dell’emergenza, Sargiacomo, Ianni e Everett (2014) hanno esaminano il ruolo della contabilità e di altre pratiche di calcolo abbinate a queste situazioni di emergenza. Lo studio esamina cronologicamente quando, come e con quali effetti la contabilità e le altre pratiche associate sono state mobilitate nei momenti successivi al terremoto che si è verificato a L’Aquila nel 2009. Proprio L’Aquila e la regione Abruzzo andranno a rappresentare parte del campione preso in considerazione all’interno di questo paper.

L’obiettivo di questo paper è quello di esaminare il ruolo dell’attrattività e del capitale umano nelle città quando l’area geografica di riferimento si trova ad affrontare disastri naturali che ne modificano profondamente la sua stabilità. Basandosi sulla ricerca di Skidmore e Toya (2007) che afferma che “le catastrofi naturali riducono il ritorno atteso al capitale fisico, gli individui razionali sposterebbero i loro investimenti verso il capitale umano”, nel presente lavoro l’obiettivo è quello di analizzare la relazione che si viene a creare tra un disastro naturale e la necessità della città di attrarre e generare capitale umano ed intellettuale. Fattori che rappresentano un driver di crescita e sviluppo economico nel medio lungo termine.

Per esplorare l’impatto delle catastrofi naturali in ambito economico bisogna valutare come questo va a condizionare le variabili economiche nel breve e nel lungo periodo. La letteratura empirica sugli effetti economici delle catastrofi naturali si è tradizionalmente concentrata sugli effetti a breve termine. Gotham & Powers (2015) forniscono una sintesi dei recenti studi che valutano le ripercussioni immediate delle catastrofi naturali sull’attività economica. Un dato interessante riguarda l’incidenza sul PIL, secondo diversi studi, il prodotto interno lordo (PIL) si trova generalmente ad aumentare nei periodi immediatamente successivi a un disastro naturale (Albala-Bertrand, 1993; Bista, 1989; Cummins, 2007).

Anche per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, diversi autori trovano una correlazione tra disastri naturali e crescita economica. Skidmore e Toya (2002) scoprono che in una prospettiva trasversale di lungo periodo, la crescita dell’output è positivamente correlata alla frequenza dei disastri naturali. In particolare, hanno analizzato come il rischio di catastrofi naturali sia correlato con la crescita a lungo termine. Cavallo, Galiani, Noy e Pantano (2013) mostrano che solo catastrofi molto grandi, per cui “grande” è definito in relazione alla distribuzione dei danni diretti causati dall’evento naturale, mostrano un impatto sulla crescita del PIL nei paesi colpiti sia nel breve che nel lungo periodo. In’oltre, uno studio effettuato da Hsiang e Jina (2015), che valuta i tassi di crescita del PIL per quasi tutti i paesi nel periodo 1950-2008, afferma che il declino dei redditi nazionali post-disastro impiega circa 20 anni per stabilizzarsi e tornare ai livelli precedenti.

In termini di sviluppo ed attrattività della città, le conseguenze dei disastri naturali vanno ad impattare sulla crescita economica anche per le ricadute che questi hanno sull’accumulo di capitale umano, che è diventato un fattore determinante per il potenziale di sviluppo a lungo termine nella cosiddetta nuova letteratura sulla geografia economica (Barro, 1991; Masters & McMillan, 2001; Sachs & Warner, 2001).

Mentre ci sono diversi studi che analizzano l’impatto dei disastri naturali sulla popolazione, sull’economia e sullo sviluppo economico territoriale, relativamente poco si sa delle perdite di benessere dell’accumulazione di capitale umano derivanti da eventi traumatici (Caruso & Miller, 2015; Wang, 2019). Il ruolo del capitale umano e delle conoscenze nello sviluppo economico è stato ampiamente studiato da economisti e geografi. Una delle teorie più importanti è stata formulata da Romer (1986, 1990, 1994) che per primo ha esaminato formalmente il ruolo della conoscenza nella crescita dalla percezione degli aspetti positivi del pubblico. Teoria supportata anche da Lucas (1988) che enfatizzava il ruolo centrale svolto dalle esternalità della conoscenza legate al capitale umano.

La letteratura esistente cerca di spiegare il legame tra disastri naturali e capitale umano. Precedenti ricerche analizzano l’effetto delle catastrofi naturali sul capitale umano utilizzando come campione gli studenti della scuola primaria. Baez (2010) cerca di rivedere e valutare le prove empiriche disponibili sugli effetti microeconomici ex post delle catastrofi naturali sull’accumulo di capitale umano. Uno studio effettuato da Toya, Skidmore e Robertson (2010), afferma che l’endogeneità è significativa ed indica che le catastrofi naturali sono un ottimo strumento per avviare cambiamenti nella scuola. Cuaresma (2017) evidenzia una correlazione tra l’attrattività degli studenti ed il rischio di eventi naturali in determinate aree. In fine Padli (2018) usando un ampio set di dati sulle calamità naturali, coprendo 79 paesi in 19 anni, dimostra che i disastri naturali hanno un effetto diretto sul capitale umano sia nel breve che nel lungo periodo. Queste ricerche evidenziano le opportunità di cambiamento come conseguenza ai disastri naturali. Questi eventi modificano profondamente il tessuto economico e sociale del territorio ma rappresentano anche un innesto al cambiamento. In questo ambito, un ruolo molto importante è svolto dalle università che rappresentano un importante centro di attrazione e creazione di capitale umano ed intellettuale e sono parte integrante del processo di sviluppo di un territorio (Skidmore e Toya ,2007)

Il termine resilienza regionale è diventato popolare a causa della sua associazione con l’adattamento regionale e quindi ha forti connessioni con l’economia evolutiva e la geografia economica evolutiva. Negli ultimi anni diversi studi hanno cercato di identificare gli indicatori, le misure e i processi di resilienza nelle comunità colpite da disastri naturali. In questo caso, il termine resilienza fornisce un concetto di collegamento per comprendere in che modo, sia la popolazione che gli ecosistemi urbani, rispondono agli eventi traumatici e quali fattori incidono sulla ripresa e sulla ripartenza del tessuto economico (Gotham & Powers, 2015). Anche nel caso di shock economici e disastri naturali, la resilienza implica la capacità di rinnovamento, rigenerazione e riorganizzazione di fronte ad eventi traumatici (Folke, 2006; Walker, Holling, Carpenter e Kinzig, 2004).

Le strategie più efficaci per la resilienza regionale si basano sui livelli acquisiti di capitale umano e sulle politiche regionali volte ad attrare e generale nuovi fattori che permettano la ripresa economica. L’efficacia di queste strategie dipende dalla capacità di sfruttare le risorse regionali specializzate, comprese le infrastrutture di ricerca pubbliche e private, lo sviluppo e l’attrazione di “capitale umano” a livello regionale e locale e la capacità del tessuto imprenditoriale locale di adeguare le proprie strategie commerciali in risposta al mutare delle circostanze economiche (Wolfe, 2010). La resilienza regionale è fatta da solide partnership tra organizzazioni locali basate su diversi fattori quali organizzazioni esterne non governative e governative, settori pubblici e privati e tra gli enti territoriali ed il governo nazionale (Agrawal, 2018; Aldrich & Meyer, 2015; Gotham & Powers, 2015; Pelling, 2012).

In termini di senso di appartenenza alla regione e al territorio colpito, la resilienza è stata strettamente alleata con una maggiore autosufficienza e il desiderio di una maggiore chiusura regionale (Hudson, 2010). L’intersezione di una crisi economica e una crisi ambientale ha migliorato il senso percepito di vulnerabilità e, quindi, ha stimolato la ricerca di nuovi percorsi di “resilienza” (Gotham & Powers, 2015; Hudson, 2010). In opposizione a tale concetto, Hassink (2010) respinge del tutto il concetto di resilienza regionale, portando a una comprensione errata dei processi di cambiamento regionale. Analizzando il recupero post-disastro a New York e New Orleans, Gotham e Greenberg (2014) si focalizzano sulle strategie di inquadramento che determinati gruppi e interessi organizzati utilizzano per costruire e distribuire diversi significati di resilienza (e.s: la resilienza come ritorno di residenti originali, ripopolamento di nuovi residenti o ricostruzione e reinvestimento in strutture). Lavoro successivamente implementato (2019) esaminando gli effetti a lungo termine delle catastrofi naturali sulla crescita della densità di popolazione nelle contee statunitensi dal 1960 al 2000.

La letteratura precedente suggerisce che gli effetti delle catastrofi sull’economia sono generalmente incerti, ma confermano il fatto che le catastrofi naturali sono fortemente correlate alla crescita economica e agli investimenti in capitale umano. Partendo dal presupposto che le catastrofi naturali rappresentano uno shock importante in termini sviluppo regionale e la letteratura attuale suggerisce che il disastro naturale non ha necessariamente un impatto negativo sulla crescita economica a lungo termine e sugli esiti del mercato del lavoro (Albala-Bertrand, 1993; Cavallo et al. 2013b; Hallegatte & Dumas, 2009; Toya & Skidmore, 2007) il nostro obiettivo è quello di valutare quanto la capacità della città di attrarre capitale umano ed intellettuale influisce sulla crescita economica della città stessa. Gli effetti delle catastrofi naturali sull’attrazione di capitale umano ed intellettuale, ad oggi, non ha ricevuto sufficiente attenzione nella letteratura accademica. Questo articolo mira a valutare gli effetti delle catastrofi naturali sull’attrattività della città focalizzandoci sul ruolo svolto dai vari attori in questa relazione.

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